il calendario di "Io decido"

mercoledì 28 novembre 2012

Venezia sottosopra




Pubblichiamo una serie di nostri articoli tratti dalla rivista Nexus del trimestre maggio-agosto 2012



martedì 20 novembre 2012

Un falso problema



L'Amministrazione Comunale di Venezia intende chiudere l'iter di approvazione del Piano d'Assetto Territoriale entro la metà di dicembre con la delega al Sindaco a partecipare alla Conferenza dei Servizi con la Provincia prima del passaggio delle sue competenze ad altri Enti. Per questo l'assessorato all'Urbanistica ha presentato nelle Municipalità e in Commissione Consiliare la delibera per l'approvazione dei criteri di valutazione delle osservazioni. I contributi di cittadini e associazioni estensori delle 773 osservazioni, di cui alcune a loro volta contenenti molteplici proposte di modifica, che per essere redatte hanno richiesto la lettura di migliaia di pagine di elaborati tecnici e la consultazione di complessi riferimenti normativi, sono stati catalogati in 27 striminzite pagine di relazione in cui si fatica a riconoscere che la propria osservazione sia stata perlomeno acquisita e letta. In Commissione si è verificato che il maggior problema che si sottopone ai Consiglieri è la definizione dei criteri con cui respingere la maggior parte delle istanze di proprietari che richiedono la trasformazione del loro fondo in terreno edificabile, il che comporterebbe un nuovo consumo di suolo per complessivi 1254 ettari. Personalmente lo ritengo un falso problema: la Relazione Agronomica calcola la Superficie Agricola Utilizzabile e trasformabile in soli 60,78 ettari. A prescindere che molti ritengono su fondate basi giuridiche che da tale computo vadano sottratte le valli da pesca per cui il valore corretto scenderebbe a 32,14 ettari, la vera questione che non si affronta è che il PRG vigente già prevede l’edificazione non ancora avvenuta per almeno 378 ettari. Di questi terreni già potenzialmente edificabili, la Valutazione Ambientale Strategica non discrimina quali e quanti siano compatibili con gli obiettivi di sostenibilità del PAT e quindi già riconducibili ai Piani degli Interventi con l’approvazione del piano, salvo che, come richiesto per tutti i P.I. dai tecnici comunali alle dipendenze dell'assessorato all'Ambiente nell'elaborato della Valutazione d'INCidenza Ambientale, siano preventivamente sottoposti a VINCA per valutarne l'impatto su specie e aree protette. Di tali rilievi sostanziali i criteri di valutazione delle osservazioni non fanno menzione, rimandando per ogni questione spinosa alla Conferenza dei Servizi e al parere della Commissione Regionale VAS, come se sia possibile trasmettere un elaborato rimasto allo stadio di documento preliminare, quindi a rischio di censura con la conseguenza che tutto il PAT assumerebbe profili d’illegittimità. Sotto la pressione di un’urgenza inesistente i Consiglieri Comunali si troverebbero ad avallare la lettura filtrata dagli uffici dei contributi pervenuti, perdendo l’occasione di rendere il PAT davvero coerente e rispettoso degli obiettivi di tutelare interessi collettivi. Al contrario si vogliono confinare all’ambito squisitamente tecnico le osservazioni più rilevanti e d’interesse generale, sequestrando l’informazione in virtù di un presunto disinteresse dei cittadini, senza che si faccia lo sforzo di restituirle semplificate in forma divulgativa e completa. In realtà le problematiche astrattamente tecniche si traducono in fatti molto concreti: cubi di cemento da destinare ad alberghi, centri commerciali, ormai inutili residenze, nuove città come dichiara il Sindaco per Tessera. Ritengo perciò lecito chiedersi dove e in quale fase di questo lungo iter procedurale l'Amministrazione inizierà finalmente a sottrarre dal PAT ettari di costruibile per rispettare i vincoli imposti dalla SAU e soprattutto mantenere l'impegno politico di azzerare il consumo di suolo.
Emanuela Amici

domenica 18 novembre 2012

Venezia, un modello urbano a rischio di dismisura


Riprendiamo l'articolo di Tiziana Plebani apparso su il manifesto il 17 novembre 2012 (sezione cultura)

Nel dibattito sulla torre voluta da Pierre Cardin occorre tenere conto degli elementi simbolici che connotano la città

Cos’è una città? È assai più di un insediamento abitativo. Ed è per questo che ci appassioniamo a discutere degli interventi che si vogliono realizzare, per questo ci interroghiamo sulle continue trasformazioni della forma urbana. Sappiamo infatti che la posta in gioco è altissima: la città rappresenta la sfida a realizzare la migliore qualità di vita per una comunità di diversi, coniugando l’attenzione al luogo che l’accoglie con la bellezza dell’opera umana. C’è un profondo desiderio di città in tutti noi ma spesso è mortificato dalla povertà del linguaggio e delle scelte degli amministratori che non sembrano cogliere che operare nel tessuto vivo della città è intervenire nelle forme e nei significati di questa convivenza.

E così non restituiscono ai cittadini la «grandezza» della questione, l’ordine simbolico che vi è implicato. Guardiamo a quel che succede a Venezia. Non è patrimonio solo degli studiosi di architettura o di urbanistica sapere che Venezia rappresenta un modello «esemplare» di città: fa parte dell’esperienza comune percepire, pur nell’involgarimento causato dalla speculazione e dalla macchina turistica, un benessere che ha ragioni antiche e profonde. Le Corbusier colse con grande precisione il segreto dell’agio riposto in questa forma urbana e lo spiegò nei suoi studi e lo ribadì con forza nella lettera che scrisse al sindaco di Venezia nell’ottobre del 1962, cercando di richiamare la politica alla necessità di comprendere la «cifra» della città e ancorarsi al suo genius loci per scegliere come e se intervenire in essa.

Temeva infatti «l’invasione della dismisura». Spiegava che ciò che fa di Venezia uno straordinario modello urbano è la sua «scala umana», quel rapporto armonioso tra la figura umana e l’altezza degli edifici, che consente sempre di ritrovare la magica linea dell’acqua e dell’aria. Tuttavia per comprendere più intimamente il potere di donare benessere che ha questa città, la vocazione altissima di «vivibilità» che le riconosciamo e per chiarire l’ordine simbolico che la governa, dobbiamo andare oltre l’affermazione di Le Corbusier. Venezia non è una città a misura di un astratto «corpo umano» bensì è città per gli uomini e per le donne poiché sa rimandare ai corpi sessuati. Venezia restituisce e non oscura la dualità: gli elementi formali maschili e femminili vi sono mescolati con sapienza, sposati come nei tanti rituali nuziali presenti nella storia della città, o alternati senza che uno prevalga sull’altro.

E tra tutte le simbologie quella che meglio esprime la dualità è proprio il rapporto di equilibrio tra verticalità (maschile) e orizzontalità (femminile). Del resto, questo sito naturale ha posto da subito un limite all’homo faber, l’ha costretto a modulare risposte originali, gli ha impedito di procedere per linee rette, rispettando la sinuosità dell’andamento acqueo; ha suggerito di accostare spazi aperti ad altri più raccolti, sfumando le soglie tra dimensione pubblica e privata. Una grande studiosa della città, Egle Trincanato, ci ha insegnato che la malia di Venezia risiede proprio nell’alternarsi del comune con il sublime, nell’accostamento dell’edificio di modeste dimensioni e pregio con il palazzo nobiliare, da cui non viene umiliato. Insieme hanno costruito un tessuto urbano differenziato eppur omogeneo, al servizio di una comunità. Tutto questo ne ha fatto una città altra e unica. Chiediamoci ora se la grandezza della posta in gioco viene restituita nel dibattito che si svolge attorno ai numerosi interventi o progetti di intervento sul tessuto urbano di Venezia e del suo territorio.

Sentiamo forse riferirsi all’ordine simbolico che la presiede quando si discute degli insediamenti ad alto tasso di cementificazione di Tessera city nella fragile area di gronda o dell’ampliamento dell’aeroporto, della mobilità sublagunare, del raddoppio dell’Hotel Santa Chiara a Piazzale Roma e del suo parcheggio sotterraneo? Ci si ricorda della «cifra» della città quando si auspica l’aumento del traffico crocieristico? No. Ascoltiamo discorsi che giustificano questi interventi in virtù di un presunto «sviluppo del territorio», secondo modelli economici privi ormai di qualsiasi valenza, che in questa area hanno provocato ferite ambientali e umane. Se il dibattito, specie dei decisori, non si nutre di una lettura simbolica, si corre il rischio di introdurre confusione e opacità negli elementi da valutare e di scegliere poi per il peggio.

Un esempio è il dibattito che si svolge intorno alla torre voluta da Pierre Cardin. È indubbio che con quel progetto si ha a che fare con una verticalità estrema. Si discute se sia legittimo che la sua altezza vada a oscurare il campanile di S. Marco, modificando lo skyline.Ma tale confronto ha senso? La verticalità dei campanili aveva una funzione di riferimento per la comunità, serviva a indicare la strada a chi si muoveva a piedi; si collegava alla chiesa che conteneva quel suo ergersi sviluppandosi in orizzontalità; era ed è un «bene comune», non espressione di un’individualità. Talvolta, invece, si paragona la torre dello stilista a un faro. Sarebbe un faro per Marghera. Ma un faro è un edificio che fa da riferimento alle imbarcazioni, è indispensabile alla salvaguardia dei naviganti; individua un punto cruciale della linea di costa. I termini del confronto sono dunque confusi e si concentrano per lo più sulle misure, quasi fosse un membro virile e non un segno/simbolo che si imprime nel paesaggio.

Non se ne faccia pertanto questioni di misure bensì di ordine simbolico. Ha ragione Salvatore Settis nell’indicare negli interventi sul corpo della città antica e sul territorio che circonda Venezia un pericolo che non riguarda solo Veneziana l’idea stessa di città. Le Corbusier concludeva il suo appassionato messaggio agli amministratori di Venezia con un monito: «Non avete il diritto di aprire la porta al disordine architettonico e urbanistico».Ma il rischio che abbiamo di fronte non si limita a un disordine di tal genere, bensì sottende a una dismisura simbolica, a una ferita profonda nella radice di Venezia. C’è da augurarsi che nelle menti di politici e amministratori avvenga la stessa esperienza di illuminazione e profondo riconoscimento della bellezza che nella Venezia salva di Simone Weil ha la forza di fermare il saccheggio della città.

venerdì 16 novembre 2012

Criteri di controdeduzioni alle osservazioni sul PAT

A seguito della proposta di delibera comunale che individua i criteri di controdeduzioni alle osservazioni al PAT il Coordinamento Io Decido rileva:
Criteri di controdeduzione della proposta di delibera